La scuola cattolica, Edoardo Albinati

Descrizione ♦ 

Albinati macina pagine e pagine in modo del tutto consapevole, dialogando a volte con i lettori e l’argomento è proprio quello della ponderosità, o comunque della necessità: «Abbiate pazienza se proseguo qui per qualche pagina a parlare di famiglia. Se non scrivessi ancora qualche riga, se non ci ragionassi sopra con calma, i ragazzi di questo libro resterebbero incollati come figurine su grandi fogli bianchi». A volte invece concede al lettore, se non gli va di approfondire un capitolo, di saltare avanti. Altre volte si scusa, fa un sunto dei capitoli che state per affrontare, casomai non dovessero interessare. Ecco, la questione è che non soltanto questo libro è importante, a volte grandioso, non soltanto necessita di tutte queste pagine, ma grazie a questo tempo che si prende, a questo spazio che si prende, genera un tipo di narrazione assolutamente originale che, insomma, può rimanere un punto fermo degli anni letterari che stiamo vivendo. Il protagonista si chiama Edoardo, e probabilmente è anche letteralmente il romanzo della vita di Albinati, per quanto possa esserlo un romanzo, cioè mai; ma è soprattutto un libro molto ambizioso; non perché il nucleo sostanziale sia originale o potente, ma quasi al contrario: perché è un romanzo contenitore, e contiene il tentativo, lo sforzo meraviglioso di mettere in gioco tutti i tasselli che la vita ti ha messo davanti, raccoglierli tutti, tutti, uno per volta, e cercare, avendoli messi insieme, di capire la propria esistenza, quella della propria scuola, del quartiere (il quartiere Trieste); per cercare di comprendere le radici o la follia di un delitto spaventoso, e quindi i modi in cui un Paese intero li accoglie, li digerisce e alla fine cerca in qualche modo di espellerli. Prende tutta questa materia e cerca pian piano, appassionatamente, un modo per attraversare il mondo con un senso, avendoci capito qualcosa, e soprattutto provando a pensare che alla fine poi un modo di stare al mondo si trova. Quindi il racconto si prende tutto il tempo, tutta la libertà che vuole. E in questo consiste la sua specialità (e quindi le sue 1300 pagine ne costituiscono quasi la ragione principale della sua forza). È proprio questo il dialogo con il lettore: io lo devo fare, devo andare per la mia strada, ho rotto gli argini del tempo e dello spazio da occupare, se li ho rotti vado dove voglio per quanto tempo voglio. Puoi seguirmi o no, per un tratto o disordinatamente. Ma io vado. E in questa formula di libertà, si concede praticamente tutto. E in questo concedersi tutto sta praticamente la potenza espressa al massimo della sua scrittura, ma anche della letteratura in sé. In definitiva: un libro di 1300 pagine, allora, vuol dire che è già per questo un libro importante? La risposta è no. Per quanto riguarda invece questo libro, la risposta invece è: decisamente sì. Un libro importante. Questo è quello che bisogna, in fondo, dire. Perché si finisce dentro un mondo e una vita e non si ha nessuna fretta di uscirne, e intanto che si gode l’alternanza tra racconto e ragionamento (ma non è questa la vita? Vivere e ragionare su come si vive?) si prova un’enorme ammirazione e un morboso piacere.

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Citazioni ♦ 

“Può esservi una rigenerazione che non passi attraverso la violenza? Come può rinascere qualcosa che non sia prima disgregato? Si può passare da un ordine a un altro senza che vi sia un intervallo di caos? Chi indica la salvezza la intravede oltre una barriera di fiamme. Più alte si levano, prima bruceremo, prima saremo risanati. Occorre che il campo bruci perché sia fertilizzato. L’unica salvezza dal disastro è un disastro ancora più grande.”

“Laddove c’è giustizia c’è lotta, laddove c’è lotta c’è speranza di giustizia. Ma questa speranza si fonda sulla possibilità di distruggere ciò che è ingiusto, colui che è ingiusto. La giustizia dunque non è altro che contrapposizione e lotta.”

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